Cos’è la “disabilità”? (parte 1)

In questo sito, come avrete notato, si usa con disinvoltura il termine “disabilità”. Ve ne sono altri, tra cui “diversabilità” (neologismo mostruoso ma che rende bene il concetto), frutto di un approccio diverso. Infatti in “disabilità” il prefisso “dis” è separattivo, e indica una mancanza, proprio come il termine “disagio” significa “mancanza di agio”.

“Diversabilità”, al contrario, indica la diversità di strategia nella soluzione dei problemi, non è  sottrattivo; anzi, in un certo senso, è inclusivo.

Ma allora il termine “disabilità” non va usato? Tutto dipende dal senso che si vuole dare alla parola.

Attualmente la definizione di “disabilità” è ricavata secondo lo standard internazionale ICF (International Classification of Functioning), che va oltre il tradizionale ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps). Entrambi sono stati elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a partire dagli anni ’80.

Nell’ICIDH l’approccio era organicista, e si poneva l’accento su tre termini chiave:

  • Menomazione (minorazione nel caso di condizioni innate): condizione organica, conseguente di qualche affezione, che porta ad una carenza organica;
  • Disabilità: limitazione della capacità di agire conseguenti ad una menomazione (o minorazione);
  • Handicap: condizione di svantaggio conseguente a una disabilità.

Già in questa classificazione era presente il fattore sociale: vero è che l’handicap è uno svantaggio, ma a livello sociale (come la presenza di barriere architettoniche).

Il nuovo standard ICF ribalta quest’ottica, in quanto intende descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali vuole (sociale, familiare, lavorativo). Ovviamente non si esclude l’importanza dei fattori organici, ma questi sono, appunto, fattori, non più importanti di altri. Alla fine al concetto di “disabilità” si sostituisce quello, più comprensivo, di “funzionalità residua”.

  • Funzioni corporee
    • Funzioni mentali
    • Funzioni sensoriali e dolore
    • Funzioni della voce e dell’eloquio
    • Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico, respiratorio
    • Funzioni dell’apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino
    • Funzioni riproduttive e genitourinarie
    • Funzioni neuro – muscolo – scheletriche correlate al movimento
    • Funzioni cutanee e delle strutture correlate
  • Strutture corporee
    • Sistema nervoso
    • Visione e udito
    • Comunicazione verbale
    • Sistemi cardiovascolare e immunologico, apparato respiratorio
    • Apparato digerente e sistemi metabolico ed endocrino
    • Sistemi genitourinario e riproduttivo
    • Movimento
    • Cute e strutture correlate
  • Fattori ambientali
    • Prodotti e tecnologia
    • Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall’uomo
    • Relazione e sostegno sociale
    • Atteggiamenti
    • Sistemi, servizi e politici
  • Attività e partecipazione
    • Apprendimento ed applicazione delle conoscenze
    • Compiti e richieste generali
    • Comunicazione
    • Mobilità
    • Cura della propria persona
    • Vita domestica
    • Interazione e relazioni personali
    • Aree di vita principali
    • Vita sociale, civile e di comunità

È fondamentale capire che lo standard ICF non riguarda esclusivamente le persone con disabilità, ma tutte le persone. Ognuna delle macroaree può avere dei sotto descrittori, per cui ci sono centinaia di profili che descrivono lo stato di salute di un individuo. Tutto questo significa che è praticamente impossibile uno stato di completa salute. Anche in assenza di evidenti disfunzionalità motorie (come nel caso di patologie cerebellari, ovvero che colpiscono il cervelletto) si può comunque essere colpiti da patologie psichiche che non sempre son di impedimento alla socializzazione.

Quindi, dopo tutto questo discorso, torniamo al problema iniziale. Ha senso parlare di “disabilità”? A questa domanda risponderemo in un prossimo articolo. 

* Secondo l’edizione online del dizionario Treccani è un “Prefisso verbale e nominale che in molti vocaboli derivati dal latino o formati modernamente indica separazione (per es. disgiungere), dispersione (per es. discutere, che propr. significa «scuotere in diverse parti»), e più spesso rovescia il senso buono o positivo della parola a cui si prefigge (per es., onore – disonoresimile – dissimilepiacere – dispiace.

Voce del vocabolario Treccani

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