Linea d’intervento 3 – Vita Indipendente (Parte 2)

Prima di parlare dell’amministratore di sostegno è utile soffermarsi sui due tradizionali strumenti di tutela in Italia, entrambi regolati dal Codice Civile agli articoli 412 – 432 (Libro 1, Titolo 12: “Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione“), ovvero l’Interdizione e l’inabilitazione.

L’interdizione giudiziale (da non confondere con l’interdizione legale) intende è tutelare soggetti non in grado di provvedere a sé stessi per infermità mentale, e consiste praticamente nella privazione della capacità di compiere atti giuridicamente rilevanti, quindi potenzialmente lesivi dei suoi interessi. Per ricorrervi sono necessarie precise condizioni: 1) accertamento dell’infermità, 2) suo carattere di abitualità e 3) incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, sia economici che extra patrimoniali.

Si tratta quindi di un atto di tutela molto forte, in quanto la condizione giuridica del soggetto viene equiparata a quella del minore. La stessa gestione patrimoniale viene effettuata da un tutore (nominato dal tribunale) che, di fatto, si sostituisce al soggetto interdetto: egli ha pieno controllo sul patrimonio, sia per gli atti di ordinaria amministrazione (quelli tesi alla sola conservazione del patrimonio) che per quelli di straordinaria amministrazione (che intaccano la consistenza patrimonale – tuttavia questi sono condotti previa autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale). Inoltre l’interdizione preclude la possibilità di contrarre matrimonio, di fare testamento, di riconoscimento giuridico della potestà patrimoniale.

Al soggetto interdetto è riconosciuta la sola capacità di agire per quanto riguarda la cura della propria persona, ma questo limitatamente alle proprie capacità intellettive. Tuttavia in taluni casi, e con provvedimento separato, il tribunale può autorizzare l’interdetto a compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione (autonomamente o con l’assistenza di un curatore).

L’Inabilitazione, invece, interviene nei casi nei quali l’infermità non sia tanto grave da precludere la totale incapacità di agire del soggetto. Anche qui c’è limitazione della capacità di agire del soggetto, ma, nel caso della gestione di beni patrimoniali, il curatore non si sostituisce all’interessato.

La stessa condizione giuridica dell’inabilitato è diversa, in quanto non viene assimilata a quella del minore. Questo significa che, nel caso della gestione patrimoniale, il curatore non si sostituisce all’interessato, ma ne integra gli atti: ad esempio, nel caso di atti di straordinaria amministrazione (i quali devono essere formalmente autorizzati del tribunale), questi vengono compiuti dal soggetto stesso, sebbene con l’assistenza del curatore nominato dal tribunale; tuttavia anche qui è possibile che il tribunale possa prevedere la possibilità per l’inabilitato di agire in piena autonomia. Qualora nascano dei conflitti col curatore, o questo rifiuti il suo consenso per il compimento di alcuni atti, l’inabilitato può ricorrere al Tribunale che, se ritiene ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale.

I due istituti possono essere revocati qualora si modifichi lo stato di salute del soggetto, e la durata dell’incarico in entrambi i casi non può eccedere i dieci anni (eccetto il caso in cui il curatore sia un famigliare).

Dal 2004 è anche prevista la possibilità che venga nominato dal tribunale un amministare di sostegno, che viene nominato nei casi in cui il giudice, pur riconoscendo fondata la richiesta di revoca di interdizione o inabilitazione, ritiene che l’inabilitato debba essere assistito.

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