Housing sociale e vita indipendente

L’housing sociale è una formula di edilizia pubblica ” dove questioni che di solito vengono gestite separatamente sono affrontate in maniera organica nel medesimo contesto” (wikipedia – housing sociale). Non è edilizia popolare, e gli alloggi non vengono assegnati seguendo un criterio semplicemente burocratico, ma tende a formare comunità omogenee (anziani, disabili, famiglie indigenti).

In definitiva l’housing sociale è una soluzione a cui si può ricorrere per opporsi all’istituzionalizzazione, e per questo non sono pochi i progetti di assistenza personalizzata che ricorrono a tale tipo di soluzione. La stessa legge del Dopo di noi prevede forme di co – housing “che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e che tengano conto anche delle migliori opportunità’ offerte dalle nuove tecnologie, al fine di impedire l’isolamento delle persone con disabilita’ grave“. (Art. 4, comma 1, lettera a).

Tutto ciò è veramente autodeterminazione? A parer mio la questione non è semplice. Vero è che il co – housing è una soluzione ampiamente adottata, non solo in funzione della legge 112/2016 (che comunque si rivolge a individui che, per qualsiasi motivo, sono privi di qualsiasi sostegno famigliare), ma anche nel caso dei progetti di Vita Indipendente, in cui il soggetto ha piena capacità di auto determinarsi. Il vantaggio di questa soluzione è che non si devono adattare i servizi largamente in uso (come i trasporti) alle persone con particolari necessità, ma si possono creare soluzioni ad hoc, tarate sui loro bisogni.

Tuttavia non si dimentichi che la Convenzione internazionale dei diritti delle persone con disabilità prevede che “le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di   uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione” (art. 19, lettera a), e ci si chiede che questa sia una scelta totalmente libera, anche alla luce di quanto dichiarato alla lettera c), ovver0 che “i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni”.

Questa apparente contraddizione si risolve se si considera che il principio che sottende l’intera Convenzione è quello dell’autodeterminazione dell’individuo e dell’accrescimento della propria autoconsapevolezza, e vi sono casi in cui il co – housing è un’ottima soluzione. Tra l’altro questa obbliga gli Stati a ricorrere a qualsiasi misura per attuare questo fine, senza specificare quale. 

In sostanza la Convenzione non è contraria in sé a questa soluzione. Basta che il co – housing non diventi in sé fattore di discriminazione, creando nelle città dei veri e propri ghetti.

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