Dichiarazione di Tenerife

Questo è l’ultimo documento internazionale che esamineremo. Risale al 26 aprile 2003 ed è una sollecitazione rivolta al governo spagnolo prima e all’UE pòl a rispettare i principi della Vita Indipendente.

I punti sono quelli trattati nelle precedenti dichiarazioni e ben noti (anche se ora la dichiarazione è ben più esplicita); però due dichiarazioni sono particolarmente interessanti:

  • La maggior parte dei problemi incontrati dalle persone disabili non sono medici, ma sociali, economici e politici.
  • Chiediamo le stesse opportunità e possibilità di scelta e lo stesso grado di controllo e di auto direzione delle nostre vite quotidiane che viene garantito alle persone non disabili. La nostra piena ed uguale partecipazione alla società ci consentirà di raggiungere il nostro massimo potenziale come esseri umani, e in tal modo potremo contribuire alla vita economica e sociale della comunità.”    

Questo è il fulcro della Vita Indipendente. non solo richiesta di diritti, ma, in un certo senso, richiesta di doveri, di partecipazione attiva alla vita sociale. Qui non si parla solo di de – istituzionalizzazione, ma di vera integrazione, la quale significa assunzione di responsabilità: quella di pagare le tasse, di svolgere un lavoro, di avere una famiglia.

Sotto gli ultimi due aspetti in Italia c’è molto da fare. Se dal punto di vista affettivo ci sono delle resistenze, retaggio di pregiudizi sociali, e a volte anche impreparazione degli stessi disabili, sul versante lavorativo apparentemente ci sono anche degli ostacoli oggettivi, nonostante ci siano leggi per l’integrazione lavorativa, e nonostante la Costituzione dichiari, all’articolo 4, che “tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.”, nonché le molte leggi a favore del cosiddetto collocamento mirato (l’argomento viene trattato estesamente dal sito Disabili.com in uno specifico dossier).

Secondo i dati ufficiali, solo il 19% dei disabili (in prevalenza uomini) lavora, con occupazioni prevalentemente nei settori statali, mentre le aziende private riescono facilmente ad eludere l’obbligo legale all’assunzione. Di conseguenza la maggior parte delle entrate per un disabile sono di tipo previdenziale. Forse, entrando nel particolare, va meglio per alcune tipologie di disabili, come le persone affette da sindrome di Down, il cui tasso di occupazione è del 31%, ma anche qui non ci si faccia ingannare: la maggior parte lavora per cooperative sociali, con contratti atipici, spesso a termine. In realtà in un mercato del lavoro come quello italiano essi sono tra i più penalizzati.

Recentemente l’Italia è stata sanzione dall’Unione Europea per la mancanza di reali politiche di integrazione lavorativa.

 

 

 

 

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